Zia Irene e
le sue nipoti, Erminia, Zoella e Dirce (mia nonna): donne che leggono, e non
sono mai andate a scuola; donne che amano profondamente, e sono profondamente
oneste. A modo loro però, senza concessioni all’ipocrisia, in un mondo che sta
cambiando. Laila
Cresta- Donne con le gonne lunghe - Narrazioni 29 - ISBN 9788825419054 Delos Digital - Anche in cartaceo per la Delos.
DONNE CON LE GONNE LUNGHE
Recensione della Dott. sa Giuseppina Lucia Capodici
linguista
Quando ho letto il titolo non immaginavo
che si parlasse di donne che hanno fatto parte della vita dell'autrice, ma l'ho
capito subito dalla prefazione, dove si nominava Bruna, una donna che ho conosciuto anch'io e
che ho potuto amare e apprezzare anch'io.
Normalmente alla fine di un romanzo si
legge che la storia è del tutto inventata, che i personaggi, i loro nomi e
cognomi e i fatti e le situazioni non hanno riscontro nella realtà, invece qui ho trovato persone, nomi e situazioni
reali, come reale è la loro storia .
E' innanzitutto la storia delle donne di
una famiglia, storia che si svolge tra la fine del secolo XIX e il XX con
un'apertura verso il XXI secolo, perché questo romanzo non ha una fine
classica. Ma questo “perché” lo dovrà scoprire il lettore.
Le donne con le gonne lunghe sono zia
Irene e le sue nipoti: Erminia, Zoella e Dirce, ma ci sono anche donne con
gonne meno lunghe, come Bruna, ma con lo stesso carattere forte, volitivo e
contemporaneamente dolcissimo. Donne che hanno amato e che sono state amate,
molto amate, donne che avevano un meraviglioso e modernissimo senso della
libertà delle donne, dei loro diritti, del rispetto dei loro sentimenti. E tutto nonostante due guerre mondiali, un
ventennio di dittatura e dei principi radicati nella società che non erano per
niente favorevoli alle donne.
La storia
comincia con zia Irene che non vuole figli perché ha visto troppe donne
giovani morire di parto, ed è felicissima quando sa che il marito è sterile,
eppure per tutta la sua vita farà da madre ai suoi nipoti e sarà una
madre affettuosa e sempre presente. Il marito, lo zio Eligio,
l'affiancherà sempre, ma nello stesso tempo resta sempre un po' dietro le
quinte. Del resto, questa è una storia di donne !
Le nipoti attraverseranno anche momenti
tragici, ma l'aiuto onnipresente di zia Irene le accompagnerà sempre.
Zia Irene è stata anche presente nella
vita dei pronipoti e delle pronipoti, e così la troveremo anche accanto alla
figlia di Dirce, la cara Bruna, e non solo, ma eccola ancora ai giardinetti con
la figlioletta di Bruna, che la considererà sempre come una presenza importante
nella propria vita.
Gli uomini della famiglia ruotano intorno
alle nostre donne, sia quelle con le gonne lunghe che quelle con le gonne un
po' più corte, ma un uomo, marito, papà in particolare entra da assoluto
protagonista nella saga familiare: Ettore, il marito di Bruna. Ettore che ha
partecipato, come Bruna, alla Resistenza, perché i principi di libertà e di
democrazia sono forti nei nostri personaggi: in tutti,
sia vecchi che giovani, sia uomini che donne.
E' una storia che potrebbe essere la mia e
di molte altre persone che, leggendo questo romanzo, possono ritrovare anche la
propria famiglia, così come è successo a me. Sicuramente molti crederanno,
leggendo, di essere anche loro protagonisti e condivideranno storie e sentimenti,
cambiando i nomi con quelli dei propri nonni, o genitori, o zii o cugini. Sarà
difficile uscire da questo romanzo, perché
ci troveremo dentro anche noi e ce lo porteremo con noi.
Per l'autrice è un romanzo senza la parola
fine e probabilmente lo sarà anche per noi.
Giuseppina Lucia Capodici
La Prefazione al romanzo, di Laila Cresta
Tanto per chiarire
(Prefazione)
La Bruna, come dicevano a
Sestri Levante, era la mia mamma. È un’espressione considerata infantile,
ma, quando una mia compagna di scuola mi prese in giro perché dicevo la mia mamma
e non mia madre, e dovevamo dare la maturità, le risposi che lei,
poverina, aveva magari avuto una madre, ma che io avevo una mamma!
Lei tacque, ma abbassò la testa: nel suo sguardo c’era l’invidia.
La Bruna era una donna intelligentissima,
con un saldo e sicuro senso etico. Come tutte le donne di casa sua poi, era fatta
per fare la mamma: anche, la mamma! Era una donna minuta, elegante, piena
di grazia: mio padre ne era pazzo.
Durante la guerra, la Bruna aveva abitato
a Fontanellato (Parma), dove la sua famiglia era sfollata: il suo Ettore andava
a trovarla, da Sestri Levante, facendosi più di 150 km in bicicletta, e altrettanti per tornare. Era un coppiano!
Bruna amava molto Funtanlè, e la
conosceva bene: su di essa conosceva tutte le storie che ne raccontavano gli
abitanti. L’incipit del romanzo è appunto costruito su quello che la gente
diceva, tra l’Ottocento e il Novecento, sulla bellissima Stufetta della rocca
Sanvitale.
La Bruna aveva il dono di saper raccontare:
subito dopo la guerra, aveva anche pubblicato qualche racconto su Noi Donne, la
rivista dell’UDI, Unione Donne Italiane. Aveva fatto solo la V elementare: la
VI classe era già stata tolta da Mussolini. Non vi fidate mai di chi semplifica
i percorsi didattici! Non si fa neanche con gli handicappati (pardon, disabili,
dice l’attuale politically correct conformism), ma questo sarebbe un
altro discorso. Queste storie di famiglia me le raccontava lei, e a lei le
avevano raccontate la sua mamma, nonna Dirce, e zia Irene. Spero di far parte
di questa dinastia femminile, Irene, Dirce, Bruna, Laila, in modo non solo anagrafico
e genetico: spero di saper raccontare, come loro.
In questa storia, c’è la fine dell’800, con le prime luci elettriche e le prime auto,
ma anche coi bambini che morivano di malnutrizione e di polio (niente
vaccinazioni, in quegli anni), e ci sono anche le loro mamme, che le spazzava
via la febbre puerperale o la tisi. C’è una famiglia di donne forti e libere,
che sapevano amare. Ci sono i loro compagni, che si trovarono gettati nel
triste orrore della I guerra mondiale. C’è il ‘900, coi suoi sogni di un mondo
migliore, e con i suoi incubi di razzismo e di guerra. Ci sono i loro figli,
vittime del fascismo e di un’altra guerra. Ci pensavo adesso: le mie nonne
hanno visto partire per la guerra sia il marito che il figlio!
Soprattutto poi, c’è la Zia Irene.
L’appellativo Zia era come facesse parte
del suo nome, e tutta Sestri Levante (in cui si era trasferita dalla natìa
Fontanellato) la chiamava Zia. La Zia Irene è stata la matriarca della mia
famiglia, la zia e vicemadre di nonna Dirce, e poi la nonna dei suoi figli e dei
suoi nipoti, come me: le persone che hanno la fortuna di invecchiare sane di
mente e di corpo, e hanno intelligenza e senso etico, diventano leggende
familiari.
Zia Irene e le sue nipoti sono state donne
un po’ particolari: nella seconda metà dell’Ottocento, sapevano leggere (e
leggevano) senza mai essere andate a scuola; non accettarono mai, in nessun
caso, l’immorale propaganda bellica; pensavano che non ci fosse niente di
vergognoso nell’avere un bambino senza avere un marito (al massimo era da incoscienti,
per le difficoltà che comportava essere l’unica persona al mondo a pensare a
lui), ma che invece fosse inaccettabile abbandonarlo o trascurarlo.
L’800 della zia Irene non era quello
ufficiale, era quello della gente che cominciava ad acquisire una coscienza
sociale: suo marito votava per i Socialisti Unitari di Turati, lei naturalmente
non votava ed era anche offesa da questa interdizione. Comunque, anche se aveva
molta stima per la Kuliscioff, non avrebbe votato volentieri per Turati: era un
un posapiano, secondo lei!
Le sue nipoti erano donne molto oneste, ma
la loro onestà non era quella del perbenismo borghese: erano oneste nei
rapporti umani. Furono donne che amarono molto, e furono molto amate.
Questo libro ovviamente è per zia Irene,
per nonna Dirce, per mamma Bruna, e per tutte le meravigliose donne che hanno
fatto la storia della mia famiglia, ma anche per tutte quelle che, con loro e
come loro, hanno contribuito all’evoluzione morale e sociale di questo nostro
Paese.
Ancora una cosa: dovreste vedere la faccia
dei bambini, quando sentono la storia di Lo scemo e suo zio. Sono affascinati.
Per loro, le parolacce sono liberatorie, e lo sono ancora di più se chi le pronuncia
è la maestra! Pensate che nell’ultimo ciclo ho dovuto fare un patto coi
bambini: quella storia una volta sola l’anno, ma tutti gli anni! Naturalmente,
sono parolacce che riguardano solo i prodotti meno nobili del corpo
umano, parole che non si possono dire, come se la mamma non fosse tutta
contenta, quando il bambino la fa! Mi spiace solo che, come tutte le
fiabe popolari, per gustarsela bisognerebbe sentirla raccontare, non leggerla!
Un appunto: nel romanzo, generalmente i
nomi di persona sono autentici, ma i cognomi no, per questioni che riguardano (possiamo
dire) la privacy dei miei cugini.
Comunque, quello che ho voluto fare è
stato proprio fermare sulla carta questa leggenda: la leggenda di zia Irene.
Buona e, spero, piacevole lettura.
Laila Cresta