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sabato 5 febbraio 2022

DONNE CON LE GONNE LUNGHE- storie di donne tra l'800 e il '900



 Una saga famigliare, da metà ‘800 a metà ‘900, che si svolge tra Salsomaggiore (PR) e Sestri Levante (GE). E' la storia di Zia Irene, che non ebbe figli, ma fu una super mamma per le sue nipoti, per i loro figli e persino per i figli dei figli. In quasi 100 anni di vita, vide due guerre mondiali  e vent'anni di dittatura. I suoi nipoti furono tutti partigiani, a parte quello che cadde prigioniero degli Inglesi, in Africa. 
Zia Irene era profondamente offesa di non poter votare, anche se non le piacevano granché i socialisti di Turati: il romanzo è anche uno spaccato della storia del nostro Paese.
Zia Irene e le sue nipoti, Erminia, Zoella e Dirce (mia nonna): donne che leggono, e non sono mai andate a scuola; donne che amano profondamente, e sono profondamente oneste. A modo loro però, senza concessioni all’ipocrisia, in un mondo che sta cambiando. 

Laila Cresta- Donne con le gonne lunghe - Narrazioni 29 - ISBN 9788825419054  Delos Digital - Anche in cartaceo per la Delos.


DONNE CON LE GONNE LUNGHE

Recensione della Dott. sa Giuseppina Lucia Capodici

linguista

Quando ho letto il titolo non immaginavo che si parlasse di donne che hanno fatto parte della vita dell'autrice, ma l'ho capito subito dalla prefazione, dove si nominava  Bruna, una donna che ho conosciuto anch'io e che ho potuto amare e apprezzare anch'io.

Normalmente alla fine di un romanzo si legge che la storia è del tutto inventata, che i personaggi, i loro nomi e cognomi e i fatti e le situazioni non hanno riscontro nella realtà, invece  qui ho trovato persone, nomi e situazioni reali, come reale è la loro storia .

E' innanzitutto la storia delle donne di una famiglia, storia che si svolge tra la fine del secolo XIX e il XX con un'apertura verso il XXI secolo, perché questo romanzo non ha una fine classica. Ma questo “perché” lo dovrà scoprire il lettore.

Le donne con le gonne lunghe sono zia Irene e le sue nipoti: Erminia, Zoella e Dirce, ma ci sono anche donne con gonne meno lunghe, come Bruna, ma con lo stesso carattere forte, volitivo e contemporaneamente dolcissimo. Donne che hanno amato e che sono state amate, molto amate, donne che avevano un meraviglioso e modernissimo senso della libertà delle donne, dei loro diritti, del rispetto dei loro sentimenti.  E tutto nonostante due guerre mondiali, un ventennio di dittatura e dei principi radicati nella società che non erano per niente favorevoli alle donne.

La storia  comincia con zia Irene che non vuole figli perché ha visto troppe donne giovani morire di parto, ed è felicissima quando sa che il marito è sterile, eppure per tutta la sua vita farà da madre ai suoi nipoti  e sarà una  madre affettuosa e sempre presente. Il marito, lo zio Eligio, l'affiancherà sempre, ma nello stesso tempo resta sempre un po' dietro le quinte. Del resto, questa è una storia di donne !

Le nipoti attraverseranno anche momenti tragici, ma l'aiuto onnipresente di zia Irene le accompagnerà sempre.

Zia Irene è stata anche presente nella vita dei pronipoti e delle pronipoti, e così la troveremo anche accanto alla figlia di Dirce, la cara Bruna, e non solo, ma eccola ancora ai giardinetti con la figlioletta di Bruna, che la considererà sempre come una presenza importante nella propria vita.

Gli uomini della famiglia ruotano intorno alle nostre donne, sia quelle con le gonne lunghe che quelle con le gonne un po' più corte, ma un uomo, marito, papà in particolare entra da assoluto protagonista nella saga familiare: Ettore, il marito di Bruna. Ettore che ha partecipato, come Bruna, alla Resistenza, perché i principi di libertà e di democrazia sono forti nei nostri personaggi: in tutti, sia vecchi che giovani, sia uomini che donne.

E' una storia che potrebbe essere la mia e di molte altre persone che, leggendo questo romanzo, possono ritrovare anche la propria famiglia, così come è successo a me. Sicuramente molti crederanno, leggendo, di essere anche loro protagonisti e condivideranno storie e sentimenti, cambiando i nomi con quelli dei propri nonni, o genitori, o zii o cugini. Sarà difficile uscire da questo romanzo, perché  ci troveremo dentro anche noi e ce lo porteremo con noi.

Per l'autrice è un romanzo senza la parola fine e probabilmente lo sarà anche per noi.                               

Giuseppina Lucia Capodici


La Prefazione al romanzo, di Laila Cresta

Tanto per chiarire (Prefazione)


La Bruna, come dicevano a Sestri Levante, era la mia mamma. È un’espressione considerata infantile, ma, quando una mia compagna di scuola mi prese in giro perché dicevo la mia mamma e non mia madre, e dovevamo dare la maturità, le risposi che lei, poverina, aveva magari avuto una madre, ma che io avevo una mamma! Lei tacque, ma abbassò la testa: nel suo sguardo c’era l’invidia.

La Bruna era una donna intelligentissima, con un saldo e sicuro senso etico. Come tutte le donne di casa sua poi, era fatta per fare la mamma: anche, la mamma! Era una donna minuta, elegante, piena di grazia: mio padre ne era pazzo.

Durante la guerra, la Bruna aveva abitato a Fontanellato (Parma), dove la sua famiglia era sfollata: il suo Ettore andava a trovarla, da Sestri Levante, facendosi più di 150 km in bicicletta, e altrettanti per tornare. Era un coppiano!

Bruna amava molto Funtanlè, e la conosceva bene: su di essa conosceva tutte le storie che ne raccontavano gli abitanti. L’incipit del romanzo è appunto costruito su quello che la gente diceva, tra l’Ottocento e il Novecento, sulla bellissima Stufetta della rocca Sanvitale.

La Bruna aveva il dono di saper raccontare: subito dopo la guerra, aveva anche pubblicato qualche racconto su Noi Donne, la rivista dell’UDI, Unione Donne Italiane. Aveva fatto solo la V elementare: la VI classe era già stata tolta da Mussolini. Non vi fidate mai di chi semplifica i percorsi didattici! Non si fa neanche con gli handicappati (pardon, disabili, dice l’attuale politically correct conformism), ma questo sarebbe un altro discorso. Queste storie di famiglia me le raccontava lei, e a lei le avevano raccontate la sua mamma, nonna Dirce, e zia Irene. Spero di far parte di questa dinastia femminile, Irene, Dirce, Bruna, Laila, in modo non solo anagrafico e genetico: spero di saper raccontare, come loro.

In questa storia, c’è la fine dell’800,  con le prime luci elettriche e le prime auto, ma anche coi bambini che morivano di malnutrizione e di polio (niente vaccinazioni, in quegli anni), e ci sono anche le loro mamme, che le spazzava via la febbre puerperale o la tisi. C’è una famiglia di donne forti e libere, che sapevano amare. Ci sono i loro compagni, che si trovarono gettati nel triste orrore della I guerra mondiale. C’è il ‘900, coi suoi sogni di un mondo migliore, e con i suoi incubi di razzismo e di guerra. Ci sono i loro figli, vittime del fascismo e di un’altra guerra. Ci pensavo adesso: le mie nonne hanno visto partire per la guerra sia il marito che il figlio!

Soprattutto poi, c’è la Zia Irene.

L’appellativo Zia era come facesse parte del suo nome, e tutta Sestri Levante (in cui si era trasferita dalla natìa Fontanellato) la chiamava Zia. La Zia Irene è stata la matriarca della mia famiglia, la zia e vicemadre di nonna Dirce, e poi la nonna dei suoi figli e dei suoi nipoti, come me: le persone che hanno la fortuna di invecchiare sane di mente e di corpo, e hanno intelligenza e senso etico, diventano leggende familiari.

Zia Irene e le sue nipoti sono state donne un po’ particolari: nella seconda metà dell’Ottocento, sapevano leggere (e leggevano) senza mai essere andate a scuola; non accettarono mai, in nessun caso, l’immorale propaganda bellica; pensavano che non ci fosse niente di vergognoso nell’avere un bambino senza avere un marito (al massimo era da incoscienti, per le difficoltà che comportava essere l’unica persona al mondo a pensare a lui), ma che invece fosse inaccettabile abbandonarlo o trascurarlo.

L’800 della zia Irene non era quello ufficiale, era quello della gente che cominciava ad acquisire una coscienza sociale: suo marito votava per i Socialisti Unitari di Turati, lei naturalmente non votava ed era anche offesa da questa interdizione. Comunque, anche se aveva molta stima per la Kuliscioff, non avrebbe votato volentieri per Turati: era un un posapiano, secondo lei!

Le sue nipoti erano donne molto oneste, ma la loro onestà non era quella del perbenismo borghese: erano oneste nei rapporti umani. Furono donne che amarono molto, e furono molto amate.

Questo libro ovviamente è per zia Irene, per nonna Dirce, per mamma Bruna, e per tutte le meravigliose donne che hanno fatto la storia della mia famiglia, ma anche per tutte quelle che, con loro e come loro, hanno contribuito all’evoluzione morale e sociale di questo nostro Paese.

Ancora una cosa: dovreste vedere la faccia dei bambini, quando sentono la storia di Lo scemo e suo zio. Sono affascinati. Per loro, le parolacce sono liberatorie, e lo sono ancora di più se chi le pronuncia è la maestra! Pensate che nell’ultimo ciclo ho dovuto fare un patto coi bambini: quella storia una volta sola l’anno, ma tutti gli anni! Naturalmente, sono parolacce che riguardano solo i prodotti meno nobili del corpo umano, parole che non si possono dire, come se la mamma non fosse tutta contenta, quando il bambino la fa! Mi spiace solo che, come tutte le fiabe popolari, per gustarsela bisognerebbe sentirla raccontare, non leggerla!

Un appunto: nel romanzo, generalmente i nomi di persona sono autentici, ma i cognomi no, per questioni che riguardano (possiamo dire) la privacy dei miei cugini.

Comunque, quello che ho voluto fare è stato proprio fermare sulla carta questa leggenda: la leggenda di zia Irene.

Buona e, spero, piacevole lettura.      

Laila Cresta